Il Settecento: un Secolo di ineguagliabili raffinatezze e spietate crudeltà. Proiettato alla conoscenza, ai Lumi, al razionalismo, secolo di scoperte scientifiche e geografiche, di enciclopedie e di eminenti pensatori. Secolo di eccessi e di rivoluzioni, molto studiato e amato per i suoi fermenti culturali, basilari per il progresso europeo. Ricercatori e appassionati però ne indagano anche gli aspetti più intimi e salottieri. È il caso della deliziosa “Guida pettegola al Settecento francese” di Francesca Sgorbati Bosi (Sellerio, pp. 360, € 18,00) che offre uno spaccato della società francese dell’epoca visto attraverso… il gossip! Il pettegolezzo (rumors in inglese e bruits in francese, molto onomatopeici!), questa mescolanza tra verità nascoste e calunnie belle e buone, è una attività vecchia come l’uomo, ma nel Settecento viene promossa a vera e propria arte in quanto scritta e fatta circolare. La prova ce la fornisce questo libro/inchiesta tanto vivace da sembrare un romanzo storico, anzi molti romanzi storici insieme; infatti ogni aneddoto riportato, vero o falso, sbandierato o sussurrato, sconcio o tragico, è una piccola storia dalle mille sfumature e implicazioni. Si trattava di brevi storie, motti di spirito, ‘sentito dire’, maldicenze e indiscrezioni che coinvolgevano anche personalità di spicco come Voltaire, Diderot, D’alembert e altri pensatori, re, regine, favorite, nobildonne e nobiluomini, attrici, attori e tutta quella variegata umanità che ruotava intorno alla spumeggiante corte di Francia.
Divisa per argomenti, la ‘Guida pettegola’ affronta temi come l’amore, la gelosia, il teatro. Ma anche gli avari, gli avvocati, le donne, i figli, i ladri e altri ancora per finire con gli spettri che, a dispetto dei Lumi e della scienza nascente, nemici giurati di superstizioni e ignoranza, accendono invece un interesse morboso tra la gente comune e i letterati . Approfondiamo l’argomento con l’autrice Francesca Sgorbati Bosi.
Quali caratteristiche ha il pettegolezzo francese nel ‘700?
«È spesso breve, non di rado spiritoso e sempre scritto con eleganza. Non riferisce solo peccatucci: riesce a rendere con pochi tratti la personalità degli interessati e il mondo in cui vivono. È una piccola finestra su un’epoca, un romanzo in poche parole».
Cosa si ammirava di più nel ‘700, in Francia?
«La presenza di spirito e la risposta sagace».
E ciò che si temeva di più?
«Il ridicolo. Per unanime ammissione, a Parigi si tollerava il vizio ma una figuraccia uccideva».
Quando si parla di Settecento francese ci si riferisce solo a Parigi e alla corte di Versailles, perché?
«Non solo ma soprattutto: d’altronde fin dal medioevo Parigi era un crocevia di basilare importanza per commercio, agricoltura e cultura. Con Enrico III di Valois diventa anche la residenza dei re di Francia, quindi un centro di potere politico e di conseguenza, un polo di attrazione per gli artisti. Con Luigi XIV la corte si sposta a Versailles (fino ad allora un piccolo borgo circondato da paludi) e la nobiltà si raccoglie attorno al Re Sole che diventa il cuore del regno e il protagonista indiscusso di una complessa coreografia del potere. Frequentare la corte diventa imprescindibile per chiunque voglia farsi strada ma ciò non diminuisce l’importanza di Parigi, che riacquista lentamente la supremazia a partire dalla morte di Luigi XIV, durante la Reggenza di Filippo d’Orléans, gli ultimi anni di regno di Luigi XV e infine sotto Luigi XVI. Per Enrico IV, a fine Cinquecento, “Parigi valeva ben una messa”; nel XVIII secolo, per chiunque avesse ambizioni, Parigi valeva addirittura… l’anima».
Il gossip, attività vecchia come l’uomo e non invenzione della nostra epoca, compare nella sua forma ‘scritta’ proprio a Parigi nel Settecento? Possiamo affermare che i giornali di cronaca nascono allora?
«Il pettegolezzo girava in forma scritta anche prima, pensiamo a quella linguaccia dell’Aretino (Pietro Aretino, 1492-1556, NdR), ad esempio. Ma nel XVIII secolo in Francia il pettegolezzo diventa pervasivo e onnipotente: può far cadere un ministro, bloccare la nomina di un poeta all’Accademia di Francia, rendere un uomo un irresistibile sex-symbol, spianare la strada per il patibolo a una regina. In un paese imbrigliato dalla censura e privo di libera stampa, è l’unico modo per sfogarsi, comunicare, colpire gli avversari e farsi sentire fino al trono. In Inghilterra dal 1695 era stata abolita la censura della stampa, le indiscrezioni venivano scritte nero su bianco sui giornali, ed erano quindi riconducibili ai loro autori. Quindi preferisco parlare semmai di ‘stampa scandalistica’ inglese e di ‘pettegolezzo’ francese. Per quanto riguarda la ‘cronaca’ il discorso è delicato: il primo vero quotidiano (nel senso che forniva notizie vere su politica, economia e attualità) nasce in Germania, a Lipsia, nel 1660. Il primo vero quotidiano inglese nascerà a Londra nel 1702. Nelle colonie del nord America, il Boston News-Letter, esce nel 1704. Se per cronaca intendiamo invece una prima alla Comédie Française, la pubblicazione di un saggio poetico o l’annuncio della morte di un accademico, in Francia fin dal 1672 troviamo il settimanale Mercure Galant (poi Mercure de France dal 1724). Per le cronache di corte, i fatti politici e diplomatici c’era invece dal 1631 la Gazette, che era ovviamente un organo sotto lo stretto controllo del potere costituito. Per il primo giornale di cronaca come lo intendiamo noi, in Francia bisogna aspettare il 1777».
Leggendo il suo libro si resta meravigliati per le somiglianze comportamentali tra la società odierna e quella del Settecento…
«La quantità dei paralleli colpisce: l’obbligo di seguire la moda e di essere sempre aggiornati su ogni novità, il consumismo sessuale, l’adorazione per le star del palcoscenico e per i sex-symbols di allora, la frenetica ricerca del divertimento, l’intraprendenza delle donne che volevano conquistarsi un ruolo attivo nella politica, nella cultura e nella società in generale, il diffuso ateismo cui curiosamente corrisponde la morbosa attrazione per vampiri, spettri e superstizioni… Anche il progressivo baratro che si scava tra la nazione e una la classe dirigente assurdamente privilegiata e sorda al bisogno di rinnovamento e rigore espresso da tutto il paese suona pericolosamente familiare…».
Malattie e paranoie dei nostri giorni si trovano anche nella società parigina del Settecento, anzi sembrano una conseguenza di un certo modo di vivere…
«Come conseguenze dei divertimenti protratti fino all’alba c’erano sicuramente insonnie e cefalee. La mancanza di valori e la noia potevano spingere a un consumismo sessuale esasperato, che a volte sfociava nella violenza. L’opportunismo, l’aridità, la superbia, la perfidia che si incontravano nella vita di società (cui nessuno poteva sottrarsi) portavano molti alla depressione o a un amaro scetticismo. La moda aveva poi gravi responsabilità: i corpetti troppo stretti provocavano problemi agli organi interni e alle ghiandole mammarie, le ampie scollature erano responsabili di polmoniti e tisi. L’uso massiccio di pomate, cipria, arricciacapelli rovinava la chioma e portava calvizie precoce. I cosmetici per rendere bianca la pelle e rosse le gote erano spesso a base di metalli tossici che avvelenavano l’organismo».
Dalle sue ricerche risulta che a Parigi nel Settecento le donne, nobili, ricche borghesi, persino attrici, hanno avuto una notevole rilevanza nella diffusione della nuova cultura. Ci parli di questi meravigliosi salotti dove non solo si spettegolava ma si faceva anche cultura.
«La lista sarebbe lunga… Mi limiterò alle più famose salonnières: madame de Lambert, virtuosa e filosofa; madame de Tencin, che faceva marciare gli affari e gli amanti con lo stesso rigore; madame du Deffand, depressa e perfida; Julie de l’Espinasse, che viveva con l’inferno nel cuore e il sorriso sulle labbra; madame Geoffrin, che celava la sua ambizione sotto la semplicità di un solido buonsenso borghese; madame Necker, rigida ma buona, tutta votata al culto del marito. E c’erano anche le artiste di teatro, dai numerosi amanti e dalla conversazione sciolta: l’attrice m.lle Quinault, la ballerina m.lle Guimard che riduceva sul lastrico i suoi amanti, la cantante m.lle Arnould, dallo spirito mordace e i gusti bisex. Ogni salotto aveva le sue caratteristiche e il suo gruppo di fedeli frequentatori: qui l’alta aristocrazia e i diplomatici stranieri, là i filosofi enciclopedisti, in questo gli economisti, in quello poeti e letterati. A volte le padrone di casa ricevevano insieme gli ospiti, a volte preferivano tenere separati gli artisti o i filosofi dagli aristocratici, ricevendoli in giorni diversi. Si leggevano le ultime creazioni letterarie, si discutevano teorie filosofiche, si facevano esperimenti scientifici, si recitava in casa, si recensivano gli spettacoli, si complottava a favore o contro i nuovi candidati all’Accademia di Francia. Il tutto cercando di far parlare tutti, di ascoltare tutti, di istruire divertendo e bandire la noia».
Amore e libertà sessuale, seduttori e seduttrici: il Settecento passa per un secolo dissoluto e gaudente. I testi che lei ha analizzato lo confermano?
«Sì. Anche se con gli opportuni distinguo: gli uomini potevano abbandonarsi alla debauche senza timori (se erano maggiorenni e liberi di disporre del loro patrimonio) mentre le donne dovevano usare prudenza ed evitare a qualsiasi costo il pubblico scandalo. Quindi la società poteva sospettare, ma mai avere la certezza che una donna avesse una liaison. Inoltre si veniva giudicati anche in base all’amante che ci si sceglieva. La gelosia era schernita e considerata di cattivo gusto, e il marito vendicativo era unanimemente disapprovato; ma anche l’amore coniugale veniva ridicolizzato, e d’altronde sbocciava di rado tra persone che venivano fatte sposare per puro interesse. Di certo, nel XVIII secolo si preferisce l’amore lieve e birichino, che stuzzica e detesta la noia. Le grandi passioni, gli amori eroici erano tramontati con Luigi XIV».
Erano più pettegoli gli uomini o le donne?
«Le donne spettegolavano tra loro o per lettera. Ma gli uomini spettegolavano non solo con le chiacchiere da salotto (o da caffé) ma soprattutto con satire, pamphlet avvelenati, poesie anonime, canzoni salaci, accuse infamanti». (di Elena e Michela Martignoni – da «Storia In Rete» n. 99, gennaio 2014)