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Il carteggio Mussolini – Churchill

Di nuovo uno scritto sulle lettere di Winston Churchill a Benito Mussolini? Potrebbe apparire perfino stucchevole che qualcuno si occupi ancora una volta dell’argomento. Invece, l’ultimo libro di Fabio Andriola, “Carteggio segreto Churchill-Mussolini”, pubblicato da Sugarco (pp. 408, € 24), ha un grande merito: fornire una sintesi chiara ed efficace di quanto, nel corso di oltre mezzo secolo, è stato scritto e detto sull’argomento, da storici, spie, giornalisti, mitomani, politici, perditempo, familiari, militari, diplomatici… Si fa, insomma, lo stato dell’arte, fornendo al lettore gli elementi – più che abbondanti – per giudicare di una questione che ha in continuazione tenuto avvinti lettori e curiosi.

Che cosa effettivamente possiamo leggere, oggi, di quel che si sono scritti i due?

Possiamo leggere, per prima cosa, quello che hanno letto vari testimoni, fascisti ma soprattutto partigiani, che hanno avuto modo di vedere, chi di sfuggita chi con più attenzione, parte del carteggio. Dico parte, perché Mussolini divise e duplicò i suoi documenti più importanti. Un processo che è continuato anche quando quelle carte hanno cambiato di mano. Ci sono poi numerose testimonianze indirette. Le testimonianze, cioè, di chi ha saputo di quel carteggio o dallo stesso Mussolini o da altri che ne erano a conoscenza. Abbiamo poi le numerose intercettazioni telefoniche e postali eseguite dai tedeschi durante la Rsi e che spesso riportano frasi inequivocabili. C’è, infine, un elemento che considero importantissimo: la sostanziale corrispondenza tra quanto sappiamo essere il contenuto di quel carteggio e le azioni, di Mussolini ma anche di Churchill, tra la primavera del 1940 e l’estate ‘45.

Perché tanto sensazionalismo?

Perché non ci si vuol arrendere all’evidenza che la diplomazia parallela non rispetta le differenze ideologiche. Sono convinto che, ben prima dell’arrivo di Churchill alla guida del governo inglese (maggio 1940), tra Roma e Londra ci fossero contatti riservati, in funzione antitedesca, per arginare la situazione. Quei contatti sono poi proseguiti in modo serrato nelle settimane precedenti l’entrata in guerra dell’Italia. Non abbiamo a disposizione tutti i pezzi del mosaico, ma ce n’è comunque abbastanza per intuire il disegno complessivo: una guerra non guerreggiata, in attesa di addivenire ad una soluzione politica entro pochi mesi. Poi, però, le cose presero una direzione diversa e Mussolini si ritrovò col cerino in mano. Ovvio che a quel punto abbia fatto pressioni per ottenere dall’Inghilterra qualcosa che compensasse l’abbaglio del maggio-giugno 1940. Su queste basi si trattò fino all’aprile ‘45. Ovvio che tutto questo cozza sia con l’immagine cara al neofascismo del dopoguerra (di un Mussolini fedele alleato dei tedeschi e implacabile avversario della perfida Albione), sia con l’idea che molti hanno, soprattutto all’estero, di una guerra che contrappose il Bene e il Male. Da che parte fosse finito – contro voglia, in verità – Mussolini è abbastanza chiaro. Il problema è che bisogna ricollocare personaggi come Roosevelt o Churchill. Una cosa faticosa, nonostante ormai le prove non manchino, ancora oggi…

Non è tanto fumo senza arrosto?

Personalmente non credo. Ormai i riscontri ci sono a sufficienza, a cominciare dai documenti inglesi che indicano fin dalla fine del 1944 un obiettivo importantissimo per lo spionaggio inglese: l’archivio di Mussolini. Archivio che conteneva, sono parole loro, documenti molto imbarazzanti per importanti figure sia dell’antifascismo italiano sia dei vertici alleati. Inoltre, stabilire perché siamo davvero entrati in guerra nel conflitto più catastrofico e importante di tutti i tempi – e le cui conseguenze si riverberano fino a noi – mi sembra una questione essenziale e, mi pare, non ancora spiegata a sufficienza. Ci siamo entrati esattamente come entrammo nella Prima guerra mondiale: attraverso un patto segreto, il famoso “Patto di Londra”. Che in parte non venne onorato da Francia e Gran Bretagna a guerra finita. Una lezione che Mussolini aveva certo bene in testa anche se, alla fine, non sembra che abbia saputo o potuto prendere le necessarie precauzioni.

Dove sarebbero finite le lettere che Mussolini nell’aprile ’45 aveva con sé?

carteggio-segreto

Sono finite un po’ ovunque. In mano partigiana sicuramente e, da qui, in parte a Londra. Altre piste portano, non senza punti d’appoggio, al Vaticano, a Casa Savoia, a Mosca. Tutti presero quello che poteva interessare la propria parte o compromettere i propri alleati, interni o internazionali. I rimasugli presero la via di Roma e dell’Archivio Centrale dello Stato, dove ancora oggi c’è il fondo “Carte della Valigia”. Un fondo che dice molto più per le evidenti e corpose assenze che per quello che offre.

Lei avanza riserve sulla figura di Claretta Petacci…

Una morte nobile, anche se non cercata, non può riscattare un’intelligenza debole, e alcuni anni spesi a trescare sicuramente con i tedeschi, forse anche con altri, dietro l’accorta guida del fratello Marcello, non a caso odiatissimo da tutti i fascisti, che non lo vollero tra loro neanche al momento della fucilazione a Dongo. Claretta Petacci fu una pedina, non pienamente consapevole, di un gioco molto più grande di lei e che negli ultimi giorni si imperniò sul carteggio Mussolini-Churchill. Fu messa con Mussolini, mi son convinto, dopo l’arresto, non perché lei voleva stare col suo Ben, ma perché chi l’ebbe tra le mani – e vide cosa aveva con sé – si convinse che forse ne sapeva troppo; sicuramente, più di quasi tutti i gerarchi catturati nella colonna a Dongo. I due vennero messi insieme e in poche ore il loro destino mutò radicalmente: da un possibile salvataggio, ovvero la consegna alle frange moderate della Resistenza, alla trappola di casa De Maria, dove non sappiamo ancora cosa accadde tranne che quello che ci è stato raccontato fin dal giorno dopo non sta in piedi in nessun modo. Dire che Claretta sia morta per amore è una parte di verità, la parte meno importante e consistente. Sostenerlo senza aggiungere tutto il resto significa dire una bugia. Che non mi va di dire…

Come giudica quelli che Lei chiama “scettici” sul carteggio?

Degli ignoranti. Tutte le loro obbiezioni denunciano una evidente ignoranza di aspetti fondamentali della vicenda che si son presi la briga di provare a smontare. Non gliel’ha prescritto il medico, i modi di informarsi c’erano, e non da oggi: eppure, dicono e scrivono cose inesatte. Il tutto condito da un sarcasmo e da una supponenza che non fanno che aggravare il giudizio finale. (intervista di Marco Bertoncini)

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