Nel 1945 il filosofo Louis Rougier ha scritto un libro di storia molto scomodo. Scomodo era allora – e infatti, lui, francese, lo poté pubblicare inizialmente solo all’estero e non in patria – e lo è oggi per la sua intatta capacità di rompere schemi e luoghi comuni. Come? Ad esempio raccontando di una sua missione nell’ottobre 1940 a Londra per arrivare ad una pace di fatto tra la Francia “collaborazionista” di Vichy, ormai nell’orbita della Germania nazista, e il governo della Gran Bretagna, rimasta sola a fronteggiare Hitler. Da quella missione Rougier sarebbe tornato con un documento concordato direttamente con il premier inglese Churchill che, contemporaneamente, già stava lavorando al proprio mito di alfiere della democrazia e della libertà nonché di inflessibile nemico dei totalitarismi. (dalla Prefazione di Fabio Andriola)
La storia di Vichy vista dal suo interno, un intellettuale e giornalista vicino al regime del Maresciallo Pétain ma non disposto ad occultare difficoltà e miserie di uno strano stato sorto dalla cocente sconfitta francese da parte dei tedeschi nel maggio-giugno 1940. Uno stato che proclamava – in una Francia occupata in parte e completamente condizionata da Berlino – una “Rivoluzione nazionale” e che ebbe grandi consensi prima di diventare, per la Francia del dopoguerra, un nodo psicologico e storico ancora non risolto. Fabre-Luce, con una scrittura avvincente, racconta in diretta – il libro nacque, capitolo dopo capitolo, durante gli agitati anni di Vichy – scenari grandi e piccoli, complotti, dubbi, retroscena, scontri, speranze e delusione di una generazione di francesi messi di fronte ad un momento storico troppo più grande di loro.