Un male minore, rispetto alla violenza, allo stupro, all’adulterio, all’incesto, al sacrilegio: questa la giustificazione, anche agli occhi della Chiesa, della prostituzione nel Medioevo. Una giustificazione ai limiti del fatalismo, di chi considerava la prostituzione come un fatto inestirpabile e in fondo naturale, in una situazione creata quasi sempre dalla miseria; una soluzione per certi versi di compromesso, che non annullava il senso del peccato, ma tendeva in pratica a scusarlo. Per molti, all’interno della Chiesa, le prostitute avevano una funzione necessaria, addirittura salutare, costituendo una valvola di sfogo con il loro mestiere da cui avrebbero potuto redimersi attraverso il pentimento e il reinserimento nella società. Non molto diverso, sebbene senza il ricorso a più o meno complesse e contorte argomentazioni teologiche, l’atteggiamento del mondo laico e dell’autorità civile di fronte al problema della prostituzione. Si passò da un iniziale e infruttuoso tentativo di segregare le prostitute nelle periferie delle città, ricacciandovele ogni qual volta avessero cercato di allontanarsene, a una progressiva presa d’atto dell’inutilità di una politica meramente negativa, che porterà di fatto a una integrazione delle donne e a una istituzionalizzazione del fenomeno. Furono, nella seconda metà del XIV secolo, le città italiane (seguite da quelle francesi e tedesche) a fare da apripista, da Lucca a Venezia, da Pavia a Firenze, attuando non più misure di ordinario controllo, ma prendendo in mano la gestione del territorio frequentato dalle prostitute e le stesse case, o direttamente o attraverso la loro concessione in affitto. L’Europa medievale si dimostrerà così ben più tollerante di quanto possa ritenersi nei confronti della prostituzione, sia per la concreta presa d’atto dell’impossibilità di eliminarla, sia per ragioni di convenienza, per lo Stato e la Chiesa, nel regolamentare e incanalare il fenomeno come freno agli eccessi. Su queste conclusioni si articola lo studio di Jacques Rossiaud, storico del Medioevo, professore emerito all’Università di Lione (Jacques Rossiaud, “Amori venali. La prostituzione nell’Europa medievale”, Laterza, pp. XXVII-361, € 24,00). Attento, Rossiaud, a rilevare come quel clima di tolleranza, che avrebbe potuto anche sfociare in una perfetta integrazione delle prostitute nella società, avesse subito una brusca interruzione a causa dell’affacciarsi, verso la metà del XVI secolo, di nubi minacciose sull’umanità del tempo, si trattasse di guerre, carestie o malattie endemiche. E fu facile, per i paladini della Controriforma, rinvenire allora nelle prostitute il capro espiatorio di tali disastri sociali, non più, come in precedenza, regolatrici di costumi, ma responsabili della corruzione di anime, di corpi e della società tutta, portatrici di un pericolo di contagio che si intese combattere con il ricorso a rinnovate misure coercitive. Il carcere, le punizioni, le esclusioni dal contesto sociale che sino a non molto tempo prima le aveva di fatto accolte, facendo balenare loro la possibilità di una piena integrazione, tornarono dunque a pesare sui destini delle prostitute, ponendo di fatto fine al clima di tolleranza in precedenza creatosi.
(di Guglielmo Salotti – da “Storia In Rete” n. 104 – giugno 2014)